È un progetto che parte da lontano quando nel 2012 abbiamo cominciato a cucinare la pecora alla cottora come si usa fare in Abruzzo e nella Marsica – spiega Franciosi -, da noi venivano ad aiutarci nell’orto di prossimità, alcuni giovani magrebini che mangiavano con noi con delle scelte precise che rispecchiavano le loro origini e lavoro religiosità. Quando hanno assaggiato la pecora alla cottora sono rimasti contenti sottolineando che era simile a quella cucinata dai loro nonni in Marocco. Loro la cucinano nella Tajin e invece di mettere le erbe di montagna appenniniche usano le spezie del deserto. A quel punto mi sono chiesto: se la cucina è un linguaggio stagionale, di territorio, che rispecchia l’animo di chi prepara i piatti, può essere anche un linguaggio epocale, raccontando un’epoca con le trasformazioni sociali e culturali che avvengono sul territorio. E allora abbiamo iniziato a cuocere la pecora nella loro Tajin aggiungendo alle erbe appenniniche anche le spezie del deserto (cumino, zenzero, curcuma), per vedere cosa succedeva. Il risultato è stato straordinario. Un esempio di come la cucina oltre a rispecchiare le radici di un territorio può diventare anche un linguaggio che rispecchia il momento socio culturale e le contaminazioni che avvengono nel tempo”.
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